giovedì 26 febbraio 2009
Grunge (?) dal Massachusetts
giovedì 26 febbraio 2009
Forse il nome della band può suonare alquanto strano, ma ciò non toglie nulla a questi quattro matti americani. Voce potente, rauca in pieno stile grunge, testi che fanno (quasi) riflettere. Sono i Godsmack, alfieri dello pseudo grunge metalleggiante che ormai sta assumento una struttura ben precisa, ancora non classificata, o mal classificata con un infinità di nomi, molto spesso raggruppati superficialmente in nu metal (o alternative). Evidente è l'influsso dello spirito di James Hetfield (frontman dei Metallica), in quello strano modo di concludere la strofa manco fosse l'ultimo respiro. Nessuno la prenda come una bestemmia degna di scomunica. Di solito, quando comincio a canticchiare una canzone fino all'infinito, tanto da immaginarmi la clip in sogno, penso che qualcosa non vada bene, che una canzone per venire fischiettata debba essere poco impegnata. Il fischiettìo opprimente che mi possedeva è arrivato anche con Voodoo, traccia compresa nell'album All Wound Up. Questo però è un caso diverso, una possessione diversa. Il ritmo cupo, l'incertezza del testo, sono ingredienti geniali, in grande sintonia l'un l'altro, il ritornello cantato quasi forzatamente, come se costretti a farlo. Molti cercano di essere il "gruppo spugna", che predende in prestito tutto da tutti. Beh, anche loro lo hanno fatto, applicando al vecchio o al moderno quei fronzoli che, a volte, alla lunga creano qualcosa.
martedì 24 febbraio 2009
Tutto è possibile
martedì 24 febbraio 2009
Perchè Sanremo è Sanremo. E' più di uno spot. E' l'anima della manifestazione.Si, è proprio cosi perchè altrimenti nessuno sarebbe capace di spiegare la ragione per la quale questo programma è cosi radicato alla tradizione. Ma se questa è la tradizione italiana c'è da dire che stiamo messi proprio male. Peccato. La gente che sa cantare c'è, e non è poca, ma nessuno (o pochi) ha quel coraggio e quel poco di intrapendenza e di strafottenza che faccia mettere in gioco se stessi, di cambiare o almeno sperimentare.
Non è possibile che da ben 59 anni, la strofa sia sempre quella (sole, cuore, amore).
Non è possibile che nessuno faccia tesoro delle lezioni di gente come De Andrè e Guccini.
Non è possibile che la gente riesca a digerire la stessa formula di canzone.
Niente è impossibile. Sanremo ne è la dimostrazione.
Nessuno riesce a sfuggire alla morsa di questa enorme macchina. Nemmeno gli Afterhours. La band italiana icona dell' Indie rock, genere fiero della propria diversità, capace di essere al di fuori degli schemi, di essere per pochi.
Ma questo mi piace vederlo come un prestito, un prestito fatto alla canzone "tradizionale" italiana, una sorta di lezione, a dimostrazione che anche essendo al di fuori di tutto si può rincorrere un sogno, che non è per tutti Sanremo. Il loro sogno era quello di non vincere Sanremo, dando però quella dimostrazione di umiltà, di talento, con una canzone non facile.
Il loro piccolo premio lo hanno vinto, quello della critica. E' molto più di un semplice trofeo, è un riconoscimento da parta di gente che di musica ne ha vista passare, e che di fronte al nuovo, all'innovativo ha una visione. Quella visione (o illusione) in qui si può scorgere un'Italia nuova, che giudica in modo critico ogni cosa. Non solo la musica.
Non è possibile che da ben 59 anni, la strofa sia sempre quella (sole, cuore, amore).
Non è possibile che nessuno faccia tesoro delle lezioni di gente come De Andrè e Guccini.
Non è possibile che la gente riesca a digerire la stessa formula di canzone.
Niente è impossibile. Sanremo ne è la dimostrazione.
Nessuno riesce a sfuggire alla morsa di questa enorme macchina. Nemmeno gli Afterhours. La band italiana icona dell' Indie rock, genere fiero della propria diversità, capace di essere al di fuori degli schemi, di essere per pochi.
Ma questo mi piace vederlo come un prestito, un prestito fatto alla canzone "tradizionale" italiana, una sorta di lezione, a dimostrazione che anche essendo al di fuori di tutto si può rincorrere un sogno, che non è per tutti Sanremo. Il loro sogno era quello di non vincere Sanremo, dando però quella dimostrazione di umiltà, di talento, con una canzone non facile.
Il loro piccolo premio lo hanno vinto, quello della critica. E' molto più di un semplice trofeo, è un riconoscimento da parta di gente che di musica ne ha vista passare, e che di fronte al nuovo, all'innovativo ha una visione. Quella visione (o illusione) in qui si può scorgere un'Italia nuova, che giudica in modo critico ogni cosa. Non solo la musica.
domenica 22 febbraio 2009
Black Keys. Tra nuovo e classico
domenica 22 febbraio 2009
Ormai quasi tutte le frontiere del rock sono state esplorate. Qualcosa di nuovo è da inventare ... o da rispolverare. Molte volte assistiamo a petetiche emulazioni di gruppi già affermati, che cercano di cavalcare l'onda creata da qualcun altro. Molti ci cascano, alcuni no.
Il rock è morto?No, ma sta molto male. Pochi irriducibili cercano, senza neanche troppe pretese, di iniettare quell'energia vitale che lo faccia vivere meglio, o almeno di farlo sopravvivere.
In bilico tra vecchio e nuovo. Questi sono i Black Keys, un duo tutto americano, forse gli ultimi blues-rocker, quelli veri. Perchè il blues, anche se contaminato, è una cosa da pochi o da privilegiati.
E loro forse lo sono, con quelle facce un pò da intellettuali, On the road sempre e comunque. Come una volta.
Sembra quasi che abbiano una missione, abbiamo qualcosa da dirci, ma non cosi, direttamente. Troppo facile. Dobbiamo capirlo, arrivarci da soli. Beh con me ci sono riusciti, ora tocca a voi.
Il rock è morto?No, ma sta molto male. Pochi irriducibili cercano, senza neanche troppe pretese, di iniettare quell'energia vitale che lo faccia vivere meglio, o almeno di farlo sopravvivere.
In bilico tra vecchio e nuovo. Questi sono i Black Keys, un duo tutto americano, forse gli ultimi blues-rocker, quelli veri. Perchè il blues, anche se contaminato, è una cosa da pochi o da privilegiati.
E loro forse lo sono, con quelle facce un pò da intellettuali, On the road sempre e comunque. Come una volta.
Sembra quasi che abbiano una missione, abbiamo qualcosa da dirci, ma non cosi, direttamente. Troppo facile. Dobbiamo capirlo, arrivarci da soli. Beh con me ci sono riusciti, ora tocca a voi.
Arrivano i Vision!
Vision Divine - 9 Degrees West Of The Moon 2009
Frontiers Records - 2009
E alla fine è arrivato. Gli scettici hanno dovuto ricredersi. E' un ritorno in grande stile quello dei VD, un prog mai banale, frastagliato. Il grande potenziale italiano, sempre disprezzato o poco apprezzato, fatica a farsi spazio. E può essere anche un bene, dipende dai punti di vista.
Disco molto vario e malinconico quindi, che non annoia. La presenza di Lione ha portato qualcosa di nuovo nella band, senza cadere in una banale emulazione rhapsodyana, il che è già tanto.
Fanstastica è la traccia iniziale, Letter to my child never born, una sorta di piccolo presagio, un assaggio di quello che il disco proporrà. La traccia più lunga dell'album, capace di creare una sorta di atmosfera, una visione, un mondo onirico, parallelo. Tasso tecnico molto alto, nonostante la traccia sia melodica, intervallata da momenti di quiete.
Leggermente al di fuori dei propri standard, Violent Loneliness si presenta impetuosa, con un pizzico si sdolcinatezza nel testo che non guasta mai (senza cadere nel banale).
Angel in disguise si presenta come una semi-ballata, cou un ritornello orecchiabile e molto azzeccato. Ma qui si presentano i Vision Divine che non ti aspetti. In The Killing Speed Of Time l'animo Thrash della band fa capolino, con mediocri risultati. La voce, anche se molto aggressiva è inadatta alla voce di Lione. Comunque un plauso per il coraggio e per la capacità di mettersi in gioco. Naturalmente la ballata non poteva mancare. E' il caso di Out in open space, molto ben fatta, capace di dare una grande sensazione di spazio, tra un uso geniale di elettronica e il genio di Lucatti alle tastiere. L'animo malinconico della band è sottolineato da un'altra ballata, che cede anche il nome all'album: 9 Degrees West Of The Moon, titolo geniale, che conferma la creatività mai banale della band tricolore. Unica nota che stona è la cover A Touch Of Evil (Judas Priest), non riuscita bene in quanto poco VD e troppo Priest.
Voto: 7.5/10
Frontiers Records - 2009
E alla fine è arrivato. Gli scettici hanno dovuto ricredersi. E' un ritorno in grande stile quello dei VD, un prog mai banale, frastagliato. Il grande potenziale italiano, sempre disprezzato o poco apprezzato, fatica a farsi spazio. E può essere anche un bene, dipende dai punti di vista.
Disco molto vario e malinconico quindi, che non annoia. La presenza di Lione ha portato qualcosa di nuovo nella band, senza cadere in una banale emulazione rhapsodyana, il che è già tanto.
Fanstastica è la traccia iniziale, Letter to my child never born, una sorta di piccolo presagio, un assaggio di quello che il disco proporrà. La traccia più lunga dell'album, capace di creare una sorta di atmosfera, una visione, un mondo onirico, parallelo. Tasso tecnico molto alto, nonostante la traccia sia melodica, intervallata da momenti di quiete.
Leggermente al di fuori dei propri standard, Violent Loneliness si presenta impetuosa, con un pizzico si sdolcinatezza nel testo che non guasta mai (senza cadere nel banale).
Angel in disguise si presenta come una semi-ballata, cou un ritornello orecchiabile e molto azzeccato. Ma qui si presentano i Vision Divine che non ti aspetti. In The Killing Speed Of Time l'animo Thrash della band fa capolino, con mediocri risultati. La voce, anche se molto aggressiva è inadatta alla voce di Lione. Comunque un plauso per il coraggio e per la capacità di mettersi in gioco. Naturalmente la ballata non poteva mancare. E' il caso di Out in open space, molto ben fatta, capace di dare una grande sensazione di spazio, tra un uso geniale di elettronica e il genio di Lucatti alle tastiere. L'animo malinconico della band è sottolineato da un'altra ballata, che cede anche il nome all'album: 9 Degrees West Of The Moon, titolo geniale, che conferma la creatività mai banale della band tricolore. Unica nota che stona è la cover A Touch Of Evil (Judas Priest), non riuscita bene in quanto poco VD e troppo Priest.
Voto: 7.5/10
- Letter to my Child Never Born - 8.56
- Violet Loneliess - 4.42
- Fading Shadow - 5.21
- Angel in Disguise - 5.17
- The Killing Speed of Time - 4.50
- The Streets of Laudomia - 5.51
- Fly - 4.53
- Out in Open Space - 5.09
- 9 Degrees West Of The Moon - 3.57
- A Touch of Evil - 5.48
- Fading Shadow (demo version) - 5.17
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